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Chiesa del Lazzaretto

 

La figura di Giobbe è molto nota nella Bibbia e nella tradizione cristiana come modello di santità e di sapienza.
Della vita conosciamo soltanto quanto è narrato nell’Antico Testamento (libro di Giobbe). “Visse nel paese di Hus”...; era “l’uomo più facoltoso di tutti gli Orientali”...; era “retto, timorato da Dio e alieno dal male”...
Non era ebreo. Ebbe sette figli e tre figlie.
Improvvisamente fu colpito da una lunga seriedi disgrazie che lo privarono in breve tempo di ogni suo avere e perfino dei figli.
Ricoperto di piaghe a causa di una ributtante malattia, fu costretto a passare i suoi giorni su un letamaio, ma ebbe sempre parole di rassegnazione: “Iahweh ha dato e Iahweh ha tolto: il nome di Iahweh sia benedetto”.
Tre amici, accorsi a confortarlo, danno inizio (nel libro) insieme con lui ad un lunghissimo dialogo che, partendo dal caso del protagonista, ha per oggetto l’origine del dolore nel mondo. Giobbe ignora che la sua è una prova voluta da Satana e che Dio ha soltanto permesso, per cui non sa trovare un perché al suo dolore. Gli stessi amici lo condannano, ritenendolo colpevole di qualche grave peccato, finché dall’alto di una nube interviene Dio stesso.

La vita di Giobbe, dopo la proclamazione della sua innocenza, è sintetizzata dal libro sacro in pochi versetti: riebbe i suoi armenti, generò di nuovo sette figli e tre figlie, visse ancora altri 140 anni e “vide i suoi figli e i figli dei suoi figli fino alla quarta generazione e morì vecchio e pieno di giorni”

 

Dedicazione
Dall’archivio parrocchiale risulta che la chiesa ha avuto nel tempo denominazioni diverse:
1718 - “Lazzaretto”
1741 - “Oratorio san Francesco d’Assisi”
1759 - “Oratorio del Lazzaretto”
1830 - “Chiesa detta del “Lazzaretto”
1906 - “Chiesa di san Giobbe o del Lazzaretto” 
1953 - “Chiesa di san Francesco d’Assisi e volgarmente Madonna del Lazzaretto”

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Dai documenti
La prima notizia sull’ “Oratorio di san Francesco d’Assisio” riportata dall’archivio arcivescovile è una carta del 1741 su cui si elencano in due fogli tutte le chiese e gli oratori della Pieve.

Il 30 aprile 1742, durante una visita, il Prevosto di Oggiono Carlo Giuseppe De Abdua scrive: “Fu visitato l’oratorio e venne trovato l’oratorio bene ornato e la sacrestia con tutti i suoi paramenti e gli altri requisiti in ordine. La casa per l’eremita questuante, è stata edificata da poco e nell’oratorio sono state trovate tutte le cose in ordine... comprese le reliquie della tunica di san Francesco”.

Il 27 luglio 1745 vi compie una successiva visita e ci fa sapere che il custode era un certo Anania Colombo, con facoltà di chiedere l’elemosina (quaestuat elemosinam) per l’Oratorio di san Francesco. Dello stesso prevosto, nella visita del 1748, è il documento in cui egli stabilisce che, oltre al “beretto” e a una pianeta nera già richiesti nella visita del 1745, ora ci sia anche un camice per le messe feriali. 
In una nota del 1759 (prevosto Marco Antonio De Abdua) si parla della presenza di due eremiti questuanti presso questo “oratorio de morti”.
Nel 1776, secondo il prevosto del tempo, l’ossario era mantenuto e custodito da Giovanni Riva, questuante in abito di eremita.
Un’altra carta non datata ricorda il Lazzaretto e ci dà la distanza di “200 passi” (dalla chiesa prepositurale di sant' Eufemia?); in altri documenti, come quello che riporta la visita del Card. Pozzobonelli, si parla di “biscentum” (duecento).
Nella prima domenica del mese di luglio del 1830, venne fatta nella chiesa l’erezione della Via Crucis dal prevosto Giuseppe Staurenghi, per facoltà dell’arcivescovo di Milano Carlo Gaetano Gaisruck (1816-46)

Restauri
Oggi la chiesa si presenta ottimamente conservata. La copertura è stata del tutto rifatta nel 1977 (prevosto don Amintore Pagani), come da scritta sul lato destro dell’ingresso:

 

“Restaurata nel 1977
testimonia la devozione degli
Oggionesi
alla “Beatissima Madre di Dio”
a S.Francesco d’Assisi
al beato pazientissimo Giobbe
e ai morti del contagio della peste”

 

Esternamente è stata intonacata intorno agli anni ‘20-’25. E’ stato pure restaurato il campanile, alzato e posizionato come è oggi.

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Esterno
Il tessuto murario viene ricordato molto povero, con largo uso di arenaria locale, materiali raccogliticci ed elementi di riutilizzo.
Il campanile ha una piccola campana dal suono caratteristico, tra il dolce e il secco.

La piazzetta antistante la chiesa è dedicata ai caduti della I° guerra mondiale

Qui fino agli anni 1965-70 una targhetta di ceramica, con supporto di ferro battuto, situata accanto ad ognuno dei faggi disposti in duplice fila, ricordava un soldato caduto. I loro nomi sono ancora leggibili sul monumento innalzato in piazza Manzoni.
Tre gradini portano al pronao, che sulla parte anteriore è incorniciato da una grande serliana di serizzo con quattro colonne di stile tuscanico.
Sul fronte e sui lati del portico spiccano spazi incorniciati da importanti motivi. Essi erano affrescati: ora rimangono appena leggibili quelli laterali, mentre quelli frontali sono scomparsi e ricoperti da imbiancatura.
Il pavimento è in lastre di serizzo.

Ai lati dell’ingresso della chiesetta costituiscono un motivo settecentesca. Esternamente alla inferiata, di intreccio trasversale, sono visibili le fessure per l'elemosina.
Si accede alla chiesa attraverso un portone di noce, sopra il quale è affrescato il Buon Samaritano, opera di Paolo Cattaneo (1947).

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Interno
Sopra il portale c’è un piccolo coro, cui si accede da una scala provvisoria.

Le finestre, a destra e a sinistra, presentano due cassette per oboli con portello di ferro e due acquasantiere.
A metà corridoio c’è la cassetta per le elemosine pure di ferro, con supporto di arenaria. La balaustra è di marmo scuro, con intarsi di fattura settecentesca.
L’altare è ricco di fregi; vi sono disposti sei candelabri e un crocifisso.

Il tabernacolo di noce è sovrastato da un’importante pala raffigurante san Sebastiano, la Vergine col Bambino e san Francesco, datata 1670 e restaurata nel 1970.
In alto la tavoletta che rappresenta san Giobbe ignudo, a olio su tela, attribuita a Marco d’Oggiono. In origine il dipinto aveva probabilmente una larghezza alquanto maggiore, ma fu ritagliato per cui ora manca il piede destro della figura. Pendono dal soffitto, davanti all’altare, due catene dorate con candelabro votivo. Sull’arco trionfale è applicato un crocifisso ligneo.

Al centro è sempre accesa una lampada donata dal prevosto Gottifredi alle scolaresche elementari e medie perché ve la collocassero a ricordo dei morti della seconda guerra mondiale. La cerimonia avvenne nel primo anniversario della Liberazione.
Lungo le pareti vi sono i quadretti della Via Crucis, semplici stampe con cornice di legno sovrastata da una piccola croce.

I muri sono ricoperti da molti strati di imbiancatura, per cui non è possibile leggere eventuali affreschi originali.

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Sagrestia
Il pavimento è in formelle di cotto.

Vi è un mobile settecentesco con cassettoni in cui sono riposti i paramenti sacri. Sono conservati due ex voto d’argento settecenteschi, a forma di cuore incorniciato.

Pregevole l’affresco sul soffitto di Pasquale Agudio, raffigurante la Madonna Assunta. La figura è rapita in cielo da un’emanazione di luce; fanno da sfondo nubi grigie e cielo azzurro. Sul petto della Vergine un cuore raggiato.

 

Ossario
Al centro della chiesa è visibile un sigillo di serizzo a forma di croce con la scritta “In conspectu Domini” e teschio con tibie incrociate.
Questo dà accesso ad una camera a pianta quadrata, di circa m. 3x3, alta circa m. 2,50. La stanza è molto asciutta, con pareti intonacate con cura (sono evidenti resti di intonaco bianco). Si intravedono grosse pietre quadrate, allineate a formare la parte superiore del muro.

Il pavimento non è visibile, data la grande quantità di ossa umane che vi si trovano, ben conservate, tra cui 24 teschi completi, contati con indagine visiva dall’alto. Reperti che si pensa siano da ascrivere al periodo della peste descritta dal Manzoni, durante la quale morirono anche due monaci dell’eremo del Barro che assistevano i malati. Verso il 1923-25, durante alcuni lavori di ristrutturazione effettuati nella piazzetta antistante il sagrato, vennero portate alla luce moltissime ossa, poi riposte alla rinfusa nell’ossario sopra descritto.

Nel 1993, lavori di scavo effettuati nella parte bassa della piazzetta per incanalare il ruscello non hanno restituito alcun reperto osseo.

Tradizioni
La chiesetta è dedicata a san Giobbe, protettore dei bachi da seta, che si festeggia il 10 maggio. Culto che nel passato era molto sentito, data la grande importanza che l’allevamento rivestiva.
Infatti, per propiziarsi un buon raccolto, qui veniva benedetta la “sumenza di cavalee”, cioè le uova del baco da seta, che venivano acquistate dal setaiolo Trinca di Dolzago e vendute non in grammi, ma a once, per cui il detto “un unza de cavalee”.
In quell’occasione veniva benedetta anche l’acqua contenuta in un grande mastello collocato nell’andito tra la sagrestia e il campanile, a disposizione della gente che la portava a casa in piccole bottiglie o nei secchielli del latte per benedire i propri bachi. Nella casa stessa del custode venivano allevati i bachi da seta.
La festa di san Giobbe, detto “Saiop”, è caratterizzata dalla vendita di dolciumi speciali di zucchero colorato di rosso a forma di pipa: “i pipett de Saiop”, create e brevettate da Paolo Castelnuovo di Eupilio.
Da ultimo si ricorda un’antica tradizione popolare: quella di condurre i bimbi che tardano a camminare e a parlare sopra la pietra che sigilla l’ossario, all’interno della chiesa.

Nell’angolo sud-est della piazzetta antistante la chiesa c’è un’antica fonte di acqua sempre fresca, chiamata “pisarott del Lazzaret”, meta di passeggiate estive data l’amenità e la freschezza del luogo.

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